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Infermiere di famiglia e comunità, la vision Ipasvi Firenze

di Redazione

Il Collegio IPASVI di Firenze sta elaborando le linee guida per formare professionisti protagonisti delle politiche sanitarie del territorio.

Infermiere di famiglia e di comunità

Chi è l'infermiere di famiglia e di comunità?

Il Collegio Ipasvi di Firenze guarda al futuro, in un momento di importante riorganizzazione dell’intero sistema sanitario. Da tempo, infatti, il Collegio stesso, con la collaborazione di professionisti esterni al consiglio, sta elaborando le linee guida per definire una nuova figura di infermiere di famiglia e di comunità. Un professionista capace di lavorare per processi ed obiettivi misurabili sia sulla singola persona che sulla collettività e di intervenire sui processi di governo clinico e sulle politiche sanitarie del territorio.

L’infermiere di famiglia e di comunità – spiega Cinzia Beligni, collaboratrice del Collegio Ipasvi di Firenze – deve conoscere le attività del professionista che opera in ambito territoriale. È, pertanto, necessario ripensare anche la formazione universitaria, che deve essere sempre più specialistica, per la creazione di un Clinical Nurse Specialist (CNS) oltre che di un Advanced Nurse Practitioner (ANP).

L’impegno del Collegio IPASVI di Firenze è, dunque, quello di stare al passo con i tempi, dal momento che i cambiamenti della società ridefiniscono i nuovi modelli di assistenza. Ci stiamo impegnando a far conoscere – precisa Cecilia Pollini, vicepresidente del Collegio Ipasvi di Firenze – tutte quelle attività e competenze infermieristiche extraospedaliere, poco valorizzate negli anni, che devono invece essere implementate per fare rete con altri professionisti sanitari, nell’ottica di migliorare l’assistenza della persona e della comunità.

L’infermiere di famiglia e di comunità, infatti, è quel professionista sanitario che opera nel territorio e che ha la responsabilità di assistere e prendersi cura della persona. Sviluppa obiettivi di salute agendo sui corretti stili di vita, lavorando sui percorsi clinico-assistenziali in collaborazione e continuità con gli ospedali e le residenze assistenziali, in regime di dipendenza o libero professionale.

Questa nuova figura del nurse – puntualizza Beligni – migliora l’assistenza ai pazienti che potranno contare su un infermiere di riferimento. Il professionista, dal canto suo, cura la persona nella sua globalità, indipendentemente dalla condizione di patologia che può anche non essere presente. Opera sul bisogno rilevato adattando metodi adeguati alla soddisfazione dello stesso con un’attività valutata attraverso indicatori specifici proposti a livello regionale.

Anche la formazione universitaria, sempre più specialistica, deve essere ripensata affinché promuova l’unificazione di un iter riconosciuto anche contrattualmente e nei percorsi di carriera. Oggi come oggi – conclude Pollini – la formazione universitaria dovrebbe comprendere il triennio con un corso di laurea in Scienze Infermieristiche e tre grandi indirizzi per il biennio specialistico: per l’infermiere di famiglia e di comunità; per l’infermiere in ambito ospedaliero e per il management e coordinamento.

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