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Terapia Intensiva

Ecdc: infezioni ospedaliere in crescita in terapia intensiva

di Redazione

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Nel 2020 il 12,7% dei pazienti ricoverati in un'unità di terapia intensiva per più di due giorni ha presentato almeno un'infezione associata all'assistenza sanitaria. A contrarne almeno una sono stati ben 11.124 pazienti. Si tratta di infezioni acquisite in ospedale che hanno richiesto una stretta sorveglianza clinica. È quanto emerge dall'ultimo report epidemiologico annuale relativo al 2020 sulle infezioni ospedaliere contratte in terapia intensiva, elaborato dall'European Centre for Disease prevention and Control (Ecdc).

Report Ecdc 2020 sulle infezioni ospedaliere in terapia intensiva

ICU

Secondo il report Ecdc nel 2020 il 12,7% dei pazienti ricoverati in un'unità di terapia intensiva per più di due giorni ha presentato almeno un'infezione associata all'assistenza sanitaria.

L'indagine è stata condotta su 1058 ospedali e 1378 unità di terapia intensiva ed ha analizzato i dati provenienti da dieci reti di sorveglianza distribuite in nove Paesi europei (Austria, Estonia, Francia, Germania, Ungheria, Italia, Lituania, Portogallo, Spagna). In Italia le informazioni epidemiologiche sono state fornite dall'Italian Nosocomial Infection Surveillance in ICUs – che ha presentato dati sugli indicatori di struttura e di processo della prevenzione e del controllo delle infezioni e della resistenza antimicrobica - e da GiViTI, il Gruppo italiano per la Valutazione degli Interventi in Terapia Intensiva. Mediamente la dimensione delle strutture che hanno partecipato all'indagine era di 12 letti, con un range da 2 a 54 letti.

Dal rapporto risulta che l'8% dei pazienti presentava polmonite, il 6% un'infezione del sangue e il 3% un'infezione del tratto urinario. Gli episodi di polmonite erano associati nel 71% dei casi all'intubazione endotracheale. Il 38% delle infezioni ematiche erano correlate al catetere venoso e il 95% di quelle urinarie erano associate alla presenza di un catetere urinario.

I tre principali agenti patogeni responsabili di tali infezioni, più frequentemente isolati, sono la Psuedomonas aeruginosa per le polmoniti acquisite, gli stafilococchi coagulasi-negativi per le infezioni del sangue e l'Escherichia coli per quelle urinarie.

L'uso degli antibiotici è stato empirico nel 51% dei giorni di terapia, diretto nel 37% e profilattico nel 10%. È stata segnalata antibiotico-resistenza. Risulta infatti che il 14% degli Staphylocossus aureus erano resistenti all'oxacillina e il 16% degli Enterococcus lo erano per i glicopeptidi.

L'Escherichia coli ha sviluppato resistenza alle cefalosporine di terza generazione nel 22% dei casi. A tale categoria antibiotica risultano resistenti anche il 38%di Krebsiella e il 39% di Enterobacter. La resistenza ai carbapeneni è stata individuata nell'11% dei casi di Klebsiella, P. aeruginosa (26%) e Acinetobacter baumannii (54%).

Confrontando il rapporto 2020 del Centro Europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie con quello degli anni precedenti risulta evidente che le infezioni nosocomiali in terapia intensiva sono aumentate, registrando una prevalenza progressivamente in crescita.

Nel 2019 erano il 7,4% con 8874 pazienti e nel 2018 erano il 7.8% con 9860 pazienti. Sino al 2017 i valori si attestavano stabilmente attorno al 7-8% dei ricoverati. Risulta infine che in tutti gli anni analizzati è invariata la tipologia di infezione, così come i principali microrganismi eziologicamente responsabili nonché la categoria di antibiotico verso cui si è sviluppata resistenza.

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