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Infermiere sugli sci, l'esperienza a Bormio

di Redazione

Bormio, ore 7.30. Insieme ad altri infermieri, medici e uomini del soccorso alpino sto ascoltando attentamente il briefing, che si sta svolgendo in un’angusta stanzetta del punto di pronto intervento della cittadina Valtellinese. Oggi, dopo tre anni di stop per motivi organizzativi, si correrà la discesa libera valida per la coppa del mondo di sci sulla pista Stelvio che, a ragione, è considerata una classica insieme a Kitzbuhel, Wengen e Val Gardena.

Infermieri al lavoro in una gara mozzafiato sulla pista Stelvio

L’appuntamento è davvero importante. La gente qui ha lavorato per giorni per far sì che si possa svolgere tutto al meglio e anche durante la notte 200 volontari hanno battuto la pista con sci e badili per rendere il fondo adatto a questo tipo di gare. A noi toccherà garantire il soccorso sul tracciato, principalmente, ma anche al di fuori di esso se se ne dovesse presentare la necessità.

La responsabilità non è da poco, perché in gara gli atleti toccano velocità incredibili, nell’ordine di 140-145 km/h e affrontano salti che li sparano a 70-80 metri di distanza. In più dobbiamo garantire soccorsi rapidi, perché ci sono anche esigenze televisive, come ad esempio i tempi pubblicitari da rispettare.

L’aria non è leggera, c’è concentrazione condita con un po’ di tensione anche perché è il primo anno che il servizio di soccorso è organizzato e garantito in toto da Areu, Azienda regionale emergenza urgenza della Lombardia, e siamo tutti determinati a far bella figura. Ogni Aat, Articolazione aziendale territoriale lombarda, ha risposto mandando personale e la Aat di cui faccio parte, quella di Brescia, ha mandato (complessivamente nelle quattro giornate e divisi tra personale di elisoccorso e di soccorso pista) ben dieci persone tra medici e infermieri.

Dopo le prime istruzioni in generale arrivano le assegnazioni. Il mio nome arriva in fretta: Medico Coelli, infermiere Ghidini: salto della Rocca. Mi arriva la prima sferzata di adrenalina della giornata, mitigata dal fatto che sono con Andrea Coelli, medico di Brescia che ben conosco visto che ho lavorato più volte con lui.

Il salto della Rocca è uno dei tratti più impegnativi della pista: è un salto che si affronta subito dopo la partenza e dopo due curvoni, uno verso destra e il secondo verso sinistra, dove si acquista rapidamente velocità e il salto arriva quando gli atleti ancora stanno terminando il secondo curvone. Si vola per 30 metri.

La nostra zona di competenza parte da lì e arriva fino al curvone della Fontana Longa, passando per il canalino Sertorelli. Davvero un tratto spettacolare. Saremo affiancati da tre operatori del soccorso alpino locale, a cui lasceremo le parti di soccorso tecnico e da un infermiere della Aat di Sondrio, Mattia Compagnoni, che funge un po’ da fact totum.

Indossati casco e imbrago e presi in consegna zaino di soccorso e ramponi si va. Siamo in postazione, quattro chiacchiere tra di noi per ingannare l’attesa e alle 12.30 parte il primo apripista, che ci mostra subito quanto oggi è impegnativo il salto della Rocca, tanto che il terzo apripista cade. Fortunatamente, si rialza subito e noi non abbiamo fatto altro che indossare gli sci, perché il nostro intervento non è necessario. Parte poi il primo atleta ed è tutta altra musica rispetto agli apripista: passa davanti a noi velocissimo, sferragliante come un treno merci, ma il rumore non è di ruote sui binari, ma di sci sul ghiaccio. Pazzesco!

E così ogni atleta che ci passa davanti ci fa sobbalzare. Seguiamo la gara consultando i tempi sul sito della Fis e apprendiamo che il miglior tempo è di un italiano, il nostro Dominik Paris, ed esultiamo.

Florence Nightingale

La gara prosegue e la tensione un po’ si attenua, ma quando sembra ormai che tutto possa andare per il meglio, il francese Fayed cade finendo a tutta velocità nelle reti davanti a noi. Partiamo, arrivo per primo attraversando con gli sci ancora ai piedi il groviglio di reti. È sveglio e illeso, solo arrabbiato. Arriva Andrea due domande, ma è tutto ok, ci scambiamo degli “high five” e ce ne torniamo alla nostra postazione.

Gli atleti continuano a scendere senza soluzione di continuità fino al numero 47, il tedesco Dominik Schwaiger, che affronta il salto in maniera scomposta e cade, non trova le reti e rotola fino alla fine del muro. Parto immediatamente e tiro praticamente dritto fino a lui. Ha un trauma facciale e il ginocchio destro in posizione innaturale. Mentre apro lo zaino arriva Andrea, che inizia la sua valutazione, e i ragazzi del soccorso alpino con Mattia che preparano la barella aeronautica per il trasporto. Tolgo i guanti per cercare la vena sulla mano e già i -8 gradi si fanno sentire. Devo fare in fretta. Arriva anche il medico della squadra tedesca, ma si limita a mettersi a nostra disposizione. Mentre somministro il Fentanest secondo le indicazioni di Andrea, arriva l’elicottero e il suo down wash ci toglie il fiato. La neve turbina intorno a noi, ci rende muti e ciechi. Addirittura non mi accorgo di avere già il T.E. alle mie spalle; aggancia il verricello alla barella e se ne va. Torna il silenzio. Scopriremo poi che dalla caduta all’evacuazione dell’infortunato son passati 10 minuti. Tempi in linea con le attese.

Rimetto in ordine lo zaino e andiamo di corsa a prendere la seggiovia che ci riporta in cima. Il tempo di scendere e di ripristinare lo zaino che il francese Mathieu Baillet cade, nello stesso esatto punto degli altri tre atleti. Ormai “esperto”, mi aggancio gli sci e parto. Una curva e sono già arrivato. Il giovane è cosciente, ma sofferente. Noto il braccio sinistro deformato e la spalla omolaterale fuori sede. Di nuovo, via i guanti, laccio e vena, mentre Andrea valuta e Mattia con i ragazzi del soccorso alpino predispongono per il trasporto. Anche questa volta è necessario praticare analgesia.

L’elicottero è di nuovo sulle nostre teste, ma questa volta, attraverso i segnali convenzionali, gli intimo di allontanarsi perché ci serve altro tempo per immobilizzare l’arto lesionato con la stecco-benda. Non passa nemmeno un minuto e siamo pronti. Quindi di nuovo T.E., verricello e via. Questa volta risaliamo a piedi per guadagnare tempo. Questo secondo intervento è durato 13 minuti.

E la gara riparte questa volta, fortunatamente, senza altri infortuni e tutto finisce alle 15.30 circa.

Zaino in spalla, mi regalo una sciata nel tracciato di gara. Scendo veloce tra le porte e mi rendo conto di quanto sia duro e ghiacciato il fondo, sembra di sciare su una lastra di vetro. Davvero incredibile come questi ragazzi ci abbiano sciato sopra a più di 100 km/h.

Ora siamo a mangiare, sono le 16.30, quindi più che pranzo direi una merenda, ma finalmente il clima è più disteso. Si chiacchiera e ci si confronta su cosa è andato bene e su cosa c’è da migliorare, ma nel complesso tutto sembra essere andato per il meglio. Da parte mia devo dire che è stata un’esperienza che mi ha entusiasmato e che spero di poter ripetere, ma che soprattutto consiglio a tutti i colleghi con buone capacità sciistiche che ritengo necessarie per arrivare in sicurezza e rapidamente sull’infortunato.

Da ex sciatore agonista, vivere da dietro le quinte una gara di coppa del mondo è stato entusiasmante, mentre da infermiere lavorare con colleghi di altre Aat e con i ragazzi del soccorso alpino in condizioni difficili è stato davvero interessante. Interessante anche perché abbiamo lavorato fianco a fianco per la prima volta, ma è stato come se ci conoscessimo da tempo e le parole professionalità e rispetto reciproco hanno assunto là, a Bormio 2017, il loro vero significato.

Maurizio Ghidini, infermiere

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