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Editoriale

Ocse 2019: in Italia mancano gli infermieri, ma non solo

di Giordano Cotichelli

Il rapporto annuale dell’Ocse in materia di salute (Health at a Glance) consegna anche per questo 2019 uno sguardo impietoso della situazione italiana. In particolare per il personale infermieristico. A fronte di una media dei 37 paesi del mondo considerati, che rivela una percentuale di infermieri dell’8,9%, l’Italia si attesta su una posizione molto arretrata con un magro 5,5%, mostrando in questo un andamento negativo nel tempo che, solo in relazione al 2018, rappresenta una ulteriore perdita di 0,1%. Fra i paesi europei in posizione più arretrata si trovano unicamente la Turchia (2,1%), la Grecia (3,3%) e la Polonia (5,1%), mentre sotto la media Ocse, fra i paesi a welfare universalistico, si evidenziano i numeri della Spagna (5,7%) e del Regno Unito (7,8%).

Carenza infermieristica e non solo. La disperata sopravvivenza del Ssn

La maggioranza dei paesi europei, nel rapporto fra popolazione e professionisti infermieri, mostra numeri a due cifre: Francia (10,3%), Olanda (10,5%), Svezia (10,9%), Germania (12,9%), fino ad arrivare agli alti valori di Svizzera e Norvegia rispettivamente con il 17,2% e il 17,8%.

Cifre cui si aggiungono, per il Bel paese, quelle relative al personale medico (4%) e al numero dei posti letto (3,2%), anche in questo caso con valori diversi dalla media Ocse: 3,5% nel primo caso e 4,7% per i PL.

Un quadro meramente quantitativo che può indurre a facili rivendicazioni corporative, con il rischio di perdere di vista un orizzonte più ampio, di sistema, il quale, nello squilibrio fra personale infermieristico e medico si può leggere di certo quello che i testi di economia sanitaria già da tempo sottolineano come una cattiva allocazione di risorse con ricadute sull’organizzazione sanitaria in termini di offerta di servizi e di prestazioni.

Una migliore chiave di lettura della situazione però arriva da una valutazione, più approfondita e comparativa, rispetto alla dotazione di posti letto in relazione alla numerosità infermieristica.

Paese Infermieri Medici Posti letto
Italia 5,5 4 3,2
OECD 8,9 3,5 4,7
Svezia 10,9 4,1 2,1
Canada 10 2,7 2,3
Danimarca 10 4 2,6
Nuova Zelanda 10,1 3,3 2,7
USA 11,7 2,6 2,8
Irlanda 12,3 3,2 3
Islanda 14,9 3,9 3,1
Olanda 10,5 3,6 3,3
Finlandia 14,3 3,2 3,3
Norvegia 17,8 4,8 3,6
Australia 11,7 3,7 3,9
Slovenia 9,9 3,1 44,5
Svizzera 17,2 4,3 4,5
Lussemburgo 11,7 3 4,7
Belgio 11 3,1 5,7
Francia 10,3 3,2 6
Germania 12,9 4,3 8
Giappone 11,3 2,4 13,1

Su un totale di 37 paesi dell’Ocse, ben 18 hanno una dotazione sopra la media. Di questi appena cinque paesi (Svezia, Danimarca, Norvegia, Svizzera e Germania) hanno una dotazione medica uguale o superiore a quella italiana e 14 paesi hanno una percentuale di PL uguale o inferiore a quella della media Ocse ma con un’alta numerosità infermieristica.

Dati che suggeriscono non tanto un quadro assistenziale ipertrofico nelle corsie ospedaliere, quanto un’organizzazione dei servizi che va al di là dell’offerta legata ai ricoveri e si proietta verso una territorialità sanitaria che l’alta numerosità infermieristica sembra sostenere.

La conoscenza maggiormente approfondita dei sistemi sanitari dei paesi citati di certo apporterebbe ulteriori contributi sia nella conferma di una carenza perniciosa degli infermieri in Italia, sia di un quadro di impoverimento del Ssn sempre più marcato. Affermazione che del resto da più parti è continuamente sollevata, dalla Fnopi al Gimbe, da sindacati di varia estrazione a prestigiosi centri studi.

La professione infermieristica insomma, nella sua numerosità ed anche nella sua stessa composizione – di cui si dirà in successivi lavori – rappresenta un indicatore di qualità dell’organizzazione dei servizi.

Il legame numerosità e mortalità è noto da tempo, ma di fronte ai dati Ocse ci si trova in una situazione che mostra un Ssn che non riesce a darsi prospettive altre che vadano oltre una disperata sopravvivenza.

La presenza di paesi con una numerosità infermieristica inversamente proporzionale alla disponibilità di posti letto mostra che in quei sistemi sanitari sono state compiute scelte strutturali che proiettano l’assistenza e la cura in un quadro che va oltre la ristrettezza dell’ambiente ospedaliero.

Un indirizzo che da tempo viene prospettato anche nel nostro paese, ma che fino ad oggi ha solo legittimato tagli, chiusure di presidi, ristrutturazioni selvagge. Anche la stessa figura dell’infermiere di famiglia, annunciata in varie occasioni – ultima in ordine di tempo relativa al ddl presentato nei giorni scorsi – rappresenta un importante passo avanti per l’infermieristica italiana, ma non può non essere collocata all’interno di un sistema socio-sanitario che sia in grado di fornire supporti, ambiti di sviluppo, risorse finanziare, educative ed umane.

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