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L’Infermiere di famiglia: una vittima dell’ideologia

di Giordano Cotichelli

È in dirittura d’arrivo il DM 71 che riorganizza la sanità territoriale. All’interno molti sono gli elementi interessanti e le novità strutturali, di cui non poche erano state annunciate da tempo. Il Distretto Sanitario assume un’ulteriore centralità nell’assistenza socio-sanitaria territoriale, riguardo alla prevenzione, alla cura, alla riabilitazione e alla promozione della salute. In tutto ciò cosa potrà fare l’infermiere di famiglia è abbastanza difficile da stabilire a fronte di risorse che saranno sempre più tagliate e di interventi che saranno sempre più operatore-dipendenti dove il singolo professionista sarà costretto o a sacrificare la sua persona o a sacrificare… l’intervento da offrire.

DM/71: ancora ombre intorno alla figura dell'infermiere di famiglia

Diverse le articolazioni dei servizi che vanno dagli Ospedali di Comunità (in forma di hub o di spoke) alla telemedicina, dalle UCA (Unità di continuità assistenziale) alle COT (Centrali operative territoriali), alla proiezione di interventi sempre più integrati e multidisciplinari dove tra le varie figure professionali emergono i tanto annunciati infermieri di famiglia.

Una delle parole chiave per interpretarne il ruolo è la proattività della Medicina d’Iniziativa che deve essere incentivata nella presa in carico dei bisogni di salute di singoli e comunità, all’interno di un quadro globale valutativo che vede stratificare la popolazione in base alle condizioni sanitarie, alle risorse disponibili, alle fragilità presenti. Svariati i commenti fatti in campo sanitario e, fra i tanti, risultano interessanti quelli presenti in un articolo della CIMO in cui si sottolinea come l’aumento economico previsto per la sanità territoriale non è in grado di far fronte a quanto stabilito dal decreto stesso.

Infatti esso prevede una dotazione di 1 infermiere di famiglia ogni 2–3mila abitanti che porta ad un totale di circa 20–30mila gli infermieri necessari. Se a questi si tolgono quelli già assunti a vario titolo legati all’emergenza Covid con il decreto rilancio (9.600) ne rimangono da assumere almeno altri 10 – 20.400 i quali comporterebbero, nella massima quantità prevista, una spesa che sfiora il miliardo di euro (929 mln. per l’esattezza). Spesa poi che risulta ancor più difficile da attuare stante le altre voci necessarie al mondo sanitario e le tante decurtazioni legate allo stato di emergenze e di crisi instaurato dalla guerra in atto.

La valutazione della CIMO è interessante, ma debole nella sostanza, dato che il totale degli infermieri di famiglia cui si riferisce il DM/71 rischia di essere acquisito da pure e semplici conversioni di personale già presente sul territorio, in particolar modo legato alle attività distrettuali, ambulatoriali e domiciliari. Se così non sarà è una buona cosa, ma nonostante tutto il numero degli infermieri necessari per ogni singola struttura, dagli Ospedali di comunità alle COT, e così via, è abbastanza risicato e mostra, all’occhio più attento, come si potrà rispondere in maniera molto limitata alle risorse di un territorio che sarà nel tempo sempre più esigente di interventi.

In questo la riorganizzazione distrettuale lascia intendere uno stretto legame con l’assistenza ospedaliera e residenziale, dove la prima sarà sempre più ridotta e legata alla specialistica e la seconda sempre più in mano al mercato, cioè ai privati. La conclusione rischia di mostrare scenari in cui i bisognosi saranno maggiormente costretti a restare, gioco forza, all’interno delle mura domestiche, dove le risorse peraltro saranno sempre meno.

Il quadro finale che si prospetta per il futuro sembra più rispondere ad un bisogno di soddisfare l’ideologia imperante – il neoliberismo – che non i bisogni di salute della collettività. La salute è ancor più decodificata in termini di scelte e risorse personali. L’importante attenzione data alla salute del singolo (PAI e PRI) e alla proattività degli interventi, nonostante venga sottolineato il riferimento diretto alle esigenze della popolazione, ha una valenza prettamente personalistica, o meglio individualistica, che vede la salute come prodotto delle scelte dei singoli e non come risultante di queste e dell’azione dei determinanti sociali, ambientali ed economici.

Per dirla con un paragone tratto dall’attualità, la salute della persona in Italia viene presa in considerazione con la stessa metodica di come si accolgono i rifugiati: quelli che provengono da determinati paesi sono accolti, gli altri, vittime specialmente di condizioni economiche, sono respinti.

Nella sostanza continua ad esserci una visione residuale degli interventi sanitari dove, al di là dei bei proponimenti, le risorse e le metodologie per sostenere la salute della comunità stentano a farsi vedere.

Non basta certo focalizzarsi sull’individuo e/o sulla famiglia, bisogna in realtà avere una stretta interconnessione con azioni a sostegno della salute – di promozione e di educazione – presenti nei vari livelli territoriali: scuole, luoghi di lavoro e di vita. In sintesi viene da chiedersi, leggendo il DM/71, dove siano gli interventi in relazione all’infermiere scolastico, o all’ipotizzato infermiere di quartiere, per non parlare poi della necessità di una strutturazione dell’assistenza infermieristica all’interno degli stessi luoghi di lavoro dove si continua a morire drammaticamente e ad ammalarsi in larga misura. A titolo esemplificativo basta ricordare che nel testo il termine scuola compare una sola volta ed è legato sostanzialmente all’azione delle UCA che, alla fine, risulta più un bel proponimento che non l’organizzazione strutturata vera e propria degli interventi.

Il tutto non può non essere letto all’interno di un quadro più generale dove il debito pubblico e l’inflazione aumenteranno. Il programma del Governo Draghi di tagli della spesa pubblica probabilmente riprenderà molto presto e già il Def programmato è abbastanza aleatorio data la guerra in corso e i rialzi delle spese per l’energia. Il DM/71 alla luce di tutto questo anticipa ciò che da tempo è sotto gli occhi di tutti: una ulteriore privatizzazione dei servizi sanitari e una progressiva contrazione della spesa pubblica, funzionale ad aprire la strada alla voracità predatoria di qualche assicurazione sanitaria cui riferirsi.

In tutto ciò cosa potrà fare l’infermiere di famiglia è abbastanza difficile da stabilire a fronte di risorse che saranno sempre più tagliate e di interventi che saranno sempre più operatore-dipendenti dove il singolo professionista sarà costretto o a sacrificare la sua persona o a sacrificare… l’intervento da offrire.

E non è poi tanto difficile prevedere che gli stessi futuri professionisti del territorio oltre che a dover lavorare nelle ormai conosciute condizioni di ristrettezze, saranno spezzettati fra chi avrà un contratto con la Pubblica Amministrazione, chi con un privato di qualsiasi tipo e chi sarà invece un libero professionista costretto molto spesso a rispondere più alla sua partita IVA che non al mandato professionale. Un quadro generale che lascia presagire un futuro fatto da una babele di figure e di mansioni, di ambiti di intervento e di competenze, di servizi acquistati a basso costo e di… una salute collettiva per i più fragili sempre più oggetto di compravendita degli interessi di mercato.

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