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Editoriale

Per i morti in mare ci vuole un lutto universale

di Monica Vaccaretti

Un altro barcone ha fatto naufragio, a qualche ora imprecisata nella notte tra martedì e mercoledì scorso. Nel mar Egeo, al largo di Pylos sulla costa del Peloponneso, centinaia di disperati sono andati ancora a fondo, come fanno i pesi vivi sommersi dai flutti e non salvati. Se le stime danno ragione ai sopravissuti giunti all'ospedale di Kalamata - che raccontano agli operatori sanitari di circa seicento persone a bordo, tra cui un centinaio di bambini stipati sottocoperta - si tratterebbe del peggior naufragio di sempre nel mar Mediterraneo lungo le rotte migratorie, come se non bastasse quello di Lampedusa nel 2013 e quello di Cutro, in Calabria, nei primi mesi del 2023. È stata definita un'ecatombe, la televisione greca dà notizia addirittura di oltre 750 persone ammassate sul peschereccio Adriana salpato dall'Egitto.

Naufragio di 750 migranti in Grecia: almeno 79 vittime

Alcune delle vittime del naufragio al largo di Pylos (foto LaPresse)

Ecatombe, in senso figurato significa strage, ossia uccisione di una grande quantità di persone. Figuratevi allora la scena, anche se fa male.

Ecatombe deriva dal greco, “cento” e “bove”. Indicava il sacrificio di più vittime, anche non bovine, che gli antichi greci offrivano agli dei dopo vittoriose battaglie di terra e di mare.

Oggi non c'è niente da offrire a Dio, né gloria di cui vantarsi. Non si tratta nemmeno di un tributo stagionale a Poseidone, dio del mare. Le divinità non c'entrano, la responsabilità nelle faccende umane è degli uomini. Ci sono soltanto esseri umani, da una parte, che non vengono soccorsi ed altri che, dall'altra, disumanamente, non vogliono soccorrere pur avendo a disposizione navi efficienti e moderni sistemi tecnologici.

Poiché secondo la legge dei marinai non si lascia nessuno in mare, anche stavolta Frontex aveva lanciato l'allarme avvertendo sia le autorità greche che quelle italiane. Aveva individuato il peschereccio in difficoltà mentre ci volava sopra pattugliando il mare alla ricerca di naviganti illeciti e scafisti disgraziati. Tuttavia, anche stavolta né dalle sponde italiche né da quelle elleniche si è mosso qualcuno o perlomeno nessuno è arrivato in tempo. È in corso l'indagine.

Nessuno era il nome di Ulisse, l'odisseo che andava peregrinando per decenni in queste acque, tra isole e terraferma. Itaca non è troppo distante dalla Messenia, regione della Grecia meridionale dove sorgono le antiche Argo, Micene e Sparta.

Il naufragio si è consumato davanti alla spiaggia di Pilo, millenni fa governata da Nestore, il più vecchio e saggio tra i sovrani greci. È la terra di Antiloco, suo figlio. È qui che Telemaco andò alla ricerca del padre Ulisse, disperso e ramingo dopo la fine della guerra di Troia.

Dov'è finito il valore degli eroi omerici, che governavano questi lidi, cantati nell'Iliade? Del resto, dov’è finito il sangue nobile dei discendenti di Enea, altro celebre sperduto, che secondo la leggenda ha dato origine alle genti italiche? Dell'ospitalità e della magnanimità di greci e latini verso raminghi e forestieri è rimasta traccia soltanto tra gli abitanti dei posti di mare.

Anche a Pylos e a Kalamata, come a Cutro, sono state le persone a precipitarsi in soccorso dei sopravvissuti e a prestare le cure negli ospedali. Le immagini di materassi sul pavimento di cemento e di corpi avvolti da coperte o asciugamani bianchi fanno male, come si può ridurre un uomo considerato colpevole di cercare un domani migliore?

Soltanto la bottiglietta da mezzo litro di acqua minerale, le scarpe da ginnastica o le ciabatte di gomma messe accanto a qualche testa, che si intravede sotto, indicano che non sono sudari in attesa di sepoltura. I morti non hanno bisogno di acqua minerale. Dove sono i governi? Dove sono i media? Perché l'ecatombe calabrase è stata raccontata sin nei dettagli e quella messenica no?

I funerali di un ex governante forse si raccontano meglio. Non c'è spazio d'altro. Sono stati giorni in cui è sembrato che nel mondo non sia capitato niente di più grave ed importante, se ne è parlato a tal punto che è stato necessario addirittura fermare i lavori parlamentari e la vita pubblica di un Paese. I lutti evidentemente sono diversi. Ma non siamo tutti soltanto uomini che tornano a Dio? Desideri di gioia, amore e vita? E la pietas dove finisce?

Alla fine, quando capitano le ecatombi - perché il fato è avverso o gli uomini emanano decreti controversi o se ne vanno a fare accordi in altre sponde poco democratiche a tutela dei confini di mare e di terra - i morti restano senza sepoltura e senza giustizia.

Secondo le testimonianze raccolte soprattutto negli ospedali, i naufraghi hanno atteso tredici ore per essere salvati. Hanno chiamato 19 volte i soccorsi a terra, prima di andare a picco. Dalla prima inchiesta emerge che le autorità greche li hanno ignorati. Quando due mercantili e una corvetta della Guardia costiera greca sono arrivati sul posto del sinistro, hanno solo lanciato bottiglie di acqua ai 750 disperati ancora a bordo, prima dell'affondo, si legge su Repubblica. Erano assetati da 5 giorni. C'era forse il rischio di capovolgere la barca con le manovre di soccorso? A tragedia avvenuta si assiste al miserabile rimpallo delle responsabilità. Le versioni ufficiali sono contrastanti, poco chiare.

Certamente sulle spiagge si è riversata la gente comune di Pylos, come hanno fatto i calabresi qualche mese fa. È la parte umana della popolazione, a cui non importa da quale porto salpi e se vieni, come si racconta, per rubare lavoro e pane. I moderni governi greci e romani – quelli che tanto tempo fa hanno costruito orgogliosamente le polis, le democrazie e la repubblica – si sono forse inariditi, come fa la terra arsa dal sole del Mediterraneo.

Sono stati la terra di grandi filosofi, dialogavano di etica e di politica. Tali governi oggi si ergono a difesa degli interessi del popolo, si dicono forti perché espressione della volontà elettorale. Non credo che un essere umano di buon cuore resti insensibile di fronte a tali tragedie e che non si indigni. I superstiti sono poche decine, come i corpi recuperati. Sono ricoverati in ospedale, le condizioni sono stabili e chiedono ai sanitari informazioni su mogli e figli, amici e fratelli. Di sangue e di sventura.

Si arrestano gli scafisti a terra e si fanno i funerali, è sempre la solita storia. In fondo, ce ne importa davvero qualcosa?

I politici del mondo fanno certamente considerazioni diverse, ragionano in altri termini più elevati e complessi, fanno distinzioni ed eccezioni nel diritto umanitario ed internazionale, hanno pesi e misure diverse nelle varie guerre a seconda degli obiettivi e degli interessi. Sono in disaccordo, a volte restano inermi.

Le loro soluzioni non risolvono i problemi a lungo termine. Li rimandano. Fanno e disfano. Aggiungono postille ai decreti e cambiano le leggi, che durano il tempo variabile delle legislature. Come la tela di Penelope. Dall'altro canto l'opinione pubblica non sa trattenere l'informazione e l'indignazione, dimentica facilmente. Tanto è vivo l'interesse per qualcosa, tanto si fa presto a disinteressarsene, specialmente se non se ne parla più in tv.

Sembra poi che ultimamente ci si abitui a tutto. Dopo un po' che qualcosa è anormale, diventa normale. Dicono spesso infatti che sia la nuova normalità, su tutto. O è forse assuefazione che poi degenera in indifferenza? Ci si comporta come se fossimo, ad un certo punto, anestetizzati. Non si prova più dolore, ci si sente solo toccare ma poi passa, come quando ci suturano una ferita e non si sanguina più.

Sembra che sia in atto un processo di normalizzazione di tutto quanto ciò che non va, che non si riesce a cambiare perché ineluttabile, che non si hanno le capacità di risolvere perché troppo difficile. Una pandemia. Un’alluvione e le ondate di calore a causa del cambiamento climatico. Un conflitto. Un naufragio. È normale accettare che ci siano disgraziati che ogni tanto annegano?

Le ecatombi, che siano nel mare Egeo o in terra ucraina o sudanese, non possono essere la nuova normalità. Non si possono accettare. Se non si è in grado di fermare le partenze, si abbia almeno il coraggio e l'umanità di non fermare gli arrivi. Per i morti in mare ci vuole un lutto universale.

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