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Infermiera

Mentì per salvare sé stessa, assolta perché non punibile

di Monica Vaccaretti

È stata assolta dal reato di favoreggiamento nei confronti dei medici l'infermiera finita a processo per essere coinvolta nel caso che ha portato alla morte di una bambina di 4 anni all'ospedale Sant'Orsola di Bologna. Il fatto risale alla notte tra il 20 e il 21 ottobre 2020. Il decesso della piccola paziente avvenne in seguito ad una diagnosi sbagliata di quattro medici che - nonostante due accessi in Pronto soccorso, due ecografie e gravi sintomi – confusero un'occlusione intestinale con una gastroenterite.

Infermiera dichiarò il falso per tutelarsi, il giudice: non è punibile

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Assolta l'infermiera che dichiarò il falso circa lo stato di salute di una paziente di 4 anni morta per diagnosi errata a Bologna.

Mentre i quattro medici che avevano avuto in cura la bambina sono stati condannati con rito abbreviato per omicidio colposo, il giudice ha stabilito che l'infermiera non è punibile, pur avendo reso dichiarazioni non veritiere ed aver così ostacolato le indagini, in quanto costretta a mentire per la necessità di salvare sé stessa.

Come si apprende nella motivazione della sentenza, si tratta di una disposizione riconosciuta dal codice penale (articolo 384) secondo la quale non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo.

Dalla ricostruzione dei fatti è stato accertato che, dopo l'errore medico, tutto il personale sanitario coinvolto nel decesso della paziente ha fornito versioni non veritiere su quanto realmente accaduto quella tragica notte, nel tentativo di coprire le responsabilità.

Agli atti risulta che fu soprattutto una delle infermiere in turno al momento degli eventi nel reparto di Osservazione breve pediatrica a rendere dichiarazioni non veritiere. È stato infatti appurato che mentì, sia nella relazione infermieristica sottoscritta, sia con sommarie informazioni fornite alla polizia giudiziaria nel corso delle indagini.

In ogni caso si è accertato oltre ogni ragionevole dubbio che, nel descrivere le condizioni assai migliori rispetto alla situazione effettivamente riscontrata, l'infermiera fosse ben consapevole di ostacolare la ricostruzione delle responsabilità dei medici per l'omicidio colposo della bambina, si legge nella sentenza.

Pertanto, nonostante sia stata assolta dall'accusa, si evidenzia chiaramente che l'infermiera ha mentito perché era a conoscenza dell'errore commesso dai medici nonché delle reali condizioni cliniche della paziente. La sua sintomatologia non era infatti riconducibile ad una infezione gastrointestinale, quanto piuttosto ad una condizione molto più grave, che comporta complicanze potenzialmente fatali se non tempestivamente diagnosticata.

L'infermiera aveva riportato falsamente che la bambina appariva in atteggiamento giocoso, descrivendola in uno stato di benessere, mentre in realtà lamentava dolori acuti ed era delirante in uno stato comatoso, come riferito dalla madre la cui testimonianza è stata considerata pienamente attendibile, precisa e coerente con il quadro clinico che ha portato all'esito fatale.

Il giudice ha ritenuto del tutto implausibile che la bambina, secondo le dichiarazioni dei sanitari, avesse manifestato addominalgia solo tardivamente rimanendo asintomatica, fatta eccezione per un solo episodio di vomito, sino al momento del decesso, avvenuto verso le due del mattino. In realtà la bambina vomitava da oltre 24 ore ed era evidentemente sofferente. Non è vero che giocava e che aveva vomitato solo una volta, né che fosse responsiva prima dell'ultima grave crisi. E non è vero che la madre avesse richiamato l'attenzione dei sanitari una sola volta sulle esternazioni deliranti della bambina.

Secondo il giudice l'asserito stato di sostanziale benessere, fino all'evento infausto, era stato sin da subito identificato quale giustificazione per la mancata identificazione della corretta diagnosi e per la mancata reazione terapeutica.

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