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COVID-19

The Lancet: è in atto un processo di oblio della pandemia

di Monica Vaccaretti

Il nuovo coronavirus non è stato derubricato ad influenza. Derubricare vuol dire reinquadrare qualcosa a un livello più basso. Derubricare qualcosa significa giuridicamente attribuirle una qualifica diversa e meno grave rispetto a quella indicata precedentemente. Assegnare ai fatti una gravità minore, diminuendone l'importanza, non significa tuttavia cancellarla dal contesto, dalla memoria e dalla discussione.

Se ci lasciamo andare all'oblio, la prossima sarà come una prima volta

Di fronte a questo evento devastante la responsabilità di istituzioni e governi dovrebbe includere anche il non dimenticare

Decretare la fine della pandemia vuol dire tutto e niente. Dichiarare una situazione pandemica permette ai paesi di mettere in atto misure eccezionali, è un atto istituzionale. Dichiarare che cessa l'emergenza non vuol dire che non siamo più sotto attacco pandemico.

Fortunatamente i vaccini rendono questa pandemia meno impattante e grave ma l'allerta va sempre comunque tenuta, ha dichiarato il presidente della Società Italiana di Igiene Medicina Preventiva e Sanità Pubblica, Roberta Siliquini, durante il congresso nazionale SITI che si è svolto a Roma dal 2 al 6 maggio nel corso del 17° World Congress on Pubblic Healh, il Congresso mondiale sulla salute pubblica.

Secondo Gianni Rezza, direttore della Prevenzione del Ministero della Salute, le cautele vanno mantenute a prescindere dalla fine della pandemia perché c'è un rischio, anche se remoto, di nuove varianti. Alcune misure vanno mantenute, come le mascherine. Anche secondo Walter Ricciardi, docente di Igiene all'Università Cattolica di Roma, non si deve abbassare la guardia. La fine della pandemia non è un liberi tutti. Perché i virus a Rna, come quello di Sars-CoV2, sono imprevedibili nella loro evoluzione e sono destinati a restare.

È così che Anthony Fauci, immunologo di fama mondiale e il maggior esperto statunitense di malattie infettive direttore del National Institute of Allergy and Infectious Diseases sino al 2022, descrive la natura nefasta ed insidiosa di Sars-CoV2, dandogli voce e pensiero, in una intervista rilasciata a David Quammen, divulgatore scientifico autore di “Senza respiro”, un saggio edito nel 2022 che racconta la pandemia di Covid-19 che ha provocato sinora 7 milioni di morti in tutto il mondo, anche se le stime ne conteggiano ben 20 milioni.

Secondo il divulgatore scientifico, Sars-CoV2 è il Big One, il virus che gli esperti mondiali di malattie infettive si aspettavano da qualche decennio come un evento tristemente ineluttabile. Sapevano, ricorda l'autore, che la minaccia per la salute dell'uomo non sarebbe venuta da un batterio ma da un virus nuovo, non del tutto sconosciuto ma da poco identificato come contagioso per gli esseri umani. E, spiega il saggista, la nostra reazione di fronte a questa catastrofe ha seguito lo schema illustrato già da Lucrezio a proposito della peste di Atene: alla sottovalutazione iniziale è subentrata la ricerca di un capro espiatorio, poi il panico e infine l'impulso, altrettanto irrazionale, alla rimozione.

Su Lancet è stato pubblicato lo scorso 29 aprile l'articolo “Covid-19: dimenticare una pandemia che non è finita” in cui l'autrice Jane Galvano evidenzia come sia in atto, inconsciamente, un processo generalizzato di oblio: Di fronte a questo evento devastante la responsabilità di istituzioni e governi dovrebbe includere anche il non dimenticare.

Anziché prepararsi per la prossima emergenza sanitaria pubblica, le narrazioni popolari ed istituzionali secondo cui il peggio è passato potrebbero innavvertitamente contribuire a far prendere le distanze da individui e istituzioni di dolore, dal senso di perdita e dai fallimenti causati dall'attuale pandemia, ha precisato l'autrice. Tutti stanno andando avanti, senza voltarsi più indietro, nemmeno a riflettere su quanto vissuto e ad imparare da ciò che resta.

Forse solo le persone direttamente colpite, perché hanno perso una persona cara o hanno una condizione post Covid-19, continueranno a prestare attenzione a Covid-19. Inoltre segnalare a livello istituzionale che è tempo di voltare pagina favorisce paradossalmente processi di oblio da parte della popolazione.

Il rischio è che andare avanti peggiori le continue carenze di assistenza, risposta e sostegno per le persone che continuano ad essere colpite o che sono clinicamente vulnerabili a Covid 19. Le istituzioni, compresi i governi, e le agenzie sanitarie globali devono essere in grado di pianificare e rispondere alle nuove emergenze sanitarie globali pur continuando a sostenere le loro priorità passate, ritornando progressivamente alla normalità.

I vaccini hanno ridotto il margine di manovra del virus che tuttavia ha già ampiamente risposto con una contromossa, le varianti. Dopo tre anni ci troviamo in una situazione epidemiologica caratterizzata da un brodo di varianti, come viene definito questo veloce replicarsi del virus, continuamente ed imprevedibilmente mutevole. Stiamo quindi assistendo ad una guerra a bassa intensità.

È questo lo scenario in cui dovremo convivere con il virus per lungo tempo, verosimilmente per sempre, come è avvenuto con il morbillo. Gli esperti prevedono che non ci saranno altre ondate pesanti come quelle vissute sinora, ma ondine. E che non saranno stagionali, come l'influenza. Saranno da “quattro stagioni”. Tutto l'anno.

Prendiamone atto, anziché dimenticare e rimuovere il comune vissuto e la tragica esperienza che abbiamo maturato. Le esperienze dovrebbero rendere più forti, non più deboli. Se ci lasciamo andare all'oblio, la prossima volta sarà come una prima volta.

Tutti sanno che è più necessaria la prevenzione della cura, ma pochi premiano gli atti di prevenzione (Nassim Nicholas Taleb, saggista filosofo e matematico della teoria della probabilità). Quante probabilità abbiamo di riuscire a fare capire l'importanza della prevenzione della malattia di Covid-19 e a motivare le persone a proteggersi? Noi diciamo di affrontare la vita, perché la vita contiene salute e malattia e affrontando la vita noi pensiamo di fare la prevenzione. Pensiamo di fare il nostro mestiere: di infermieri, di sanitari, di medici (Franco Basaglia, psichiatra).

Infermiere

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