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COVID-19

La pandemia vista con gli occhi dei bambini

di Monica Vaccaretti

La Regione Veneto ha recentemente approvato un percorso articolato di comunicazione ed informazione rivolto agli operatori sanitari e del sociale, al fine di evidenziare le scelte strategiche fatte durante le diverse fasi della pandemia, mettendo in evidenza azioni ed interventi che il territorio, nelle sue diverse espressioni, è stato in grado di attivare fornendo una valida sperimentazione di iniziative che potranno essere di aiuto in altre situazioni emergenziali. Alla luce di questo percorso è stato organizzato a Vicenza, lo scorso 13 maggio, il seminario “La pandemia Covid-19 vista con gli occhi di...”. L'evento, che si è svolto a Palazzo delle Opere Sociali organizzato dalla Fondazione Scuola di Sanità Pubblica, è nato dall'esigenza di condividere le modalità con cui le Aziende Sanitarie vicentine e i diversi attori del territorio hanno collaborato nella gestione della pandemia, dando voce ai protagonisti del mondo sanitario e civile.

Covid-19 raccontato con la fantasia dei bambini

I bambini sono stati coloro che hanno sofferto maggiormente a causa del covid

Raccogliendo queste esperienze, l'obiettivo è quello di rivolgere lo sguardo al futuro con una prospettiva ed un sentimento diversi rispetto alla fase emergenziale. Il seminario è stato occasione per volgere un profondo ringraziamento verso gli uomini e le donne del sistema sanitario, gli amministratori locali e le associazioni di volontariato che hanno fatto un lavoro immane.

Occasione dell'evento è stata l'inaugurazione a Vicenza, in Basilica Palladiana, della mostra “La pandemia vista con gli occhi dei bambini veneti”, una esposizione itinerante nelle varie città venete dei 1000 disegni e delle 320 lettere che i bambini hanno spedito in Regione e alla sede della Protezione Civile di Marghera (VE), dove ogni giorno il Governatore teneva le conferenze stampa per aggiornare la popolazione sull'evoluzione epidemiologica della pandemia.

Nella mostra, che si concluderà simbolicamente a Vo’ Euganeo dove tutto è iniziato il 21 febbraio 2020, la pandemia viene raccontata con la fantasia dei bambini. Emerge la sensibilità e la sofferenza con cui hanno vissuto questo lungo periodo difficile. I bambini, è stato sottolineato, sono stati coloro che hanno sofferto maggiormente questa situazione ma la pandemia è stata vista da tanti occhi diversi, oltre a quelli degli operatori sanitari in prima linea. Occhi di nonni isolati nelle RSA, occhi di madri e padri anziani confinati nelle proprie case. Occhi di giovani studenti che hanno vissuto una strana adolescenza tra DAD e perdita della socialità. Occhi dei membri delle Istituzioni Pubbliche e delle Associazioni dei Volontari che sono stati chiamati ad un grande servizio sociale.

Al seminario hanno partecipato, oltre all'assessore alla Sanità veneta e ai sindaci vicentini, i Direttori Generali delle Ulss beriche, il Direttore del Dipartimento di Prevenzione Sicurezza Alimentare e Veterinaria della Regione Veneto e il Direttore di Malattie Infettive dell’azienda Ulss Berica. Il racconto è stato a più voci: hanno portato la loro testimonianza i giovani medici del Nucleo Covid e delle Unità Speciali di Continuità Assistenziali (USCA) che sono stati la risposta aziendale al Covid tra territorio ed ospedale andando tra le case della gente.

Hanno narrato la pandemia anche i Direttori dei Centri Servizi per Anziani, colpiti da un’intensa e drammatica solitudine e le associazioni di volontariato come la Croce Rossa Italiana che hanno portato grande sostegno alla popolazione fragile. Sono intervenuti rappresentanti del mondo scolastico: il Provveditore agli Studi e i Dirigenti scolastici di alcuni Istituti Superiori, gli studenti.

Il seminario ha riportato tipicamente le esperienze della realtà veneta ma è rappresentativo, seppur con peculiarità regionali, della comune tragedia italiana e mondiale che abbiamo condiviso. Dall'evento sono emerse parole ed emozioni importanti, semplici, vere che hanno toccato corde sottili. Sono diventate un'unica narrazione, anche se fatta a più voci, perché ciascuno, rivivendo quel che ha vissuto, ha potuto e saputo cogliere l'esperienza professionale ed emozionale dell'altro. Ci si è portati a casa la condivisione di un sapere e di un fare che è ancora in divenire e la consapevolezza di quello che abbiamo fatto finora, ciascuno secondo la propria parte

Temi del seminario

È stato detto che sono passati 27 mesi. È stato un tempo complicato da vivere e da gestire. Ora, dopo oltre due anni alle spalle restano negli occhi tanti ricordi. Alcuni di questi occhi, anche di bambini, non ci sono più. Sono morti di Covid. È innegabile che bambini ed adolescenti hanno addosso un profondo disagio psicologico. Sono stati male i nostri ragazzi, molti lo hanno manifestato con episodi di autolesionismo e con la dispersione scolastica.

Esiste una pandemia di emozioni, non solo di salute, che ha sconvolto tutti. L'abbiamo affrontata tra protezioni e limitazioni che sono state necessarie per contenere il diffondersi della malattia. Abbiamo imparato parole nuove che non erano nell'uso quotidiano, parole chiave come tamponi, hub, screening molecolari, tracciamento. Abbiamo vissuto con parole pesanti come distanziamento.

Abbiamo imparato che la protezione è una misura non farmacologica e che per salvare vite umane è possibile la limitazione della libertà della persona.

Il 2 febbraio 2020 il virus era lontano, le immagini spettrali e surreali dalla Cina erano soltanto in Cina. Nemmeno venti giorni più tardi, era il 21 febbraio, la prima Zona Rossa è stata creata a Vo', in Provincia di Padova, Veneto, Italia.

È stato predisposto un cordone sanitario e deciso di bloccare gli operatori sanitari dentro l'ospedale di Schiavonia. Si è trattato di chiudere un paese e una comunità per arginare il contagio da qualcosa di sconosciuto. È stata messa in atto la strategia definita “The hammer and the dance”, il martello e la danza. Significa attuare misure drastiche e poi seguire l'andamento della curva del contagio.

Il 9 marzo è scattato il lockdown generalizzato e tra decreti, delibere ed ordinanze, siamo entrati nei giorni dell'hashtag “#iorestoacasa”, dell'impossibilità di uscire, del distanziamento sociale, dei quattro passi entro i 200 metri dalla propria abitazione. Nuovi limiti e nuove norme hanno scandito le settimane. I dubbi e le paure della popolazione hanno prodotto oltre 80mila mail inviate alla Direzione della prevenzione in Regione e al numero verde regionale sono arrivate oltre 1 milione e 300 mila telefonate.

C'è stato un cambiamento radicale della libertà. L'isolamento è stato vissuto pesantemente non soltanto dai bambini ma anche da anziani e fragili a causa delle restrizioni alle visite nelle case di riposo, alla chiusura degli ospedali, alla stanza degli abbracci. Sono state decisioni pesanti ma necessarie per evitare che le persone si ammalassero. Le riaperture a tempo, dal maggio 2020, hanno permesso la ripresa graduale e in sicurezza delle attività commerciali e dei servizi alla persona. Poi con i rientri dalle vacanze estive all'estero sono tornati i focolai e le Regioni hanno cominciato a proteggersi le une dalle altre.

Il ritorno a scuola a settembre 2020 ha imposto nuove regole con banchi distanziati e mascherina durante le lezioni. Ad ottobre la seconda ondata, inaspettata, ha imposto le zone a colori secondo alcuni parametri, l'obbligo di mascherina anche all'aperto, le ordinanze locali con restrizioni agli spostamenti tra comuni. Si è cercato di vivere in equilibrio. Con i vaccini c'è stato un forte desiderio di normalità. I primi sono arrivati scortati dai Carabinieri, erano la salvezza. Sono stati somministrati per priorità dando precedenza ai sanitari e ai soggetti più fragili.

Se avanzava qualche dose, in attesa che arrivassero per tutti, la gente si metteva in fila alla sera negli hub vaccinali o veniva chiamata a riceverla secondo una lista di attesa. Ad oggi in Veneto sono stati somministrati oltre 11 milioni di vaccini. Gli obblighi vaccinali ad alcune categorie di lavoratori e agli over 50 hanno consentito una miglior aderenza alla vaccinazione. Il Green pass, un visto come ai tempi della peste a Venezia, è uno strumento che vincola chi non vi aderisce ma è stato adottato per la difesa della comunità.

Le varianti di Sars-CoV2 – Delta, Alfa, Beta, Omicron – ed ora le sottovarianti sconvolgono previsioni, andamenti epidemiologici, strategie di salute pubblica. Ci sono stati tanti giorni + in Veneto. Il giorno con più ricoveri è stato ad esempio il 1° gennaio 2021 (401), quello con più ricoverati il 4 gennaio (3896). Il giorno più drammatico è stato quello con più morti in ventiquattro ore, 122.

Il 31 marzo è stata dichiarata la fine dello stato di emergenza. Ma la fase di transizione, in cui si definisce il passaggio dalla fase pandemica a quella endemica di convivenza con il virus, non è ancora possibile, perché ci deve essere in tutto il mondo. Dopo l'esperienza maturata con il Covid è necessario esseri pronti per il futuro.

Il Nuovo Piano Pandemico strategico operativo nazionale 2021-2023 ha l'obiettivo di prepararsi ad affrontare una futura pandemia influenzale. Si tratta di un documento che deve aggiornarsi e rinnovarsi alla luce delle nuove minacce sanitarie, con possibili rischi per l'uomo, che già sono comparse negli ultimi mesi, come il vaiolo delle scimmie, la peste suina e l'epatite acuta nei bambini.

Ci sono state tante pandemie nella storia dell'uomo

La pandemia ci lascia la consapevolezza che non siamo invulnerabili

Ma per affrontarla abbiamo realizzato il miglioramento della tecnologia diagnostica, lo sviluppo di tecnologie vaccinali utili anche per altre patologie, il miglioramento della capacità di affrontare la nuova pandemia. Siamo in una fase di incertezza, più che di transizione. Certamente Sars-CoV-2 non potrà essere eradicato, è opinione di tutta la comunità scientifica internazionale.

Pertanto è fondamentale mantenere alto il livello di vaccinazione, mantenere la migliore assistenza per gli acuti che saranno soprattutto anziani e non immunizzati, gestire il Covid diagnosticato per caso in occasione di ricoveri per altre patologie, mantenere il sistema di autosorveglianza. È preoccupante l'emergere di una nuova patologia come il Long Covid per la quale non abbiamo risposte. Bisogna tenere sotto controllo l'andamento dei ricoveri perché i picchi delle ondate sono stati e possono essere ancora i picchi delle nostre fatiche.

È emerso quanto i nuclei Covid siano stati un’intuizione che ha permesso sin dai primi giorni della pandemia il tracciamento e la presa in carico dei positivi. Hanno rappresentato il primo livello di coordinamento che poi è maturato e consolidato nei mesi successivi. Poiché la pandemia non è finita, occorre mantenere il livello di allarme. Abbiamo scoperto che fare rete – tra le USCA, i volontari, i dipartimenti, i reparti, i distretti, la scuola, le istituzioni e le amministrazioni – è un patrimonio. Pertanto, dobbiamo mantenerlo integro e di buon livello. È un patrimonio di risorse umane e di competenze. Di intelletto.

I Nuclei Covid hanno vissuto il lutto, l'isolamento e l'impatto emotivo delle persone andando nelle case, nei luoghi di lavoro e nelle scuole. Attraverso l'integrazione tra ospedale e territorio c'è stata una gestione condivisa dell'emergenza. L'ospedale è diventato un modello dinamico con capacità di adattamento – strutturale e del personale – in continua evoluzione. È stata dimostrata una grande flessibilità nella riorganizzazione. Sono stati tirati su muri di cartongesso dalla notte alla mattina per preparare nuovi reparti, spesso nei fine settimana. Gli operai cartongessisti hanno lavorato con un ritmo incalzante. Ad ogni ondata e ad ogni nuova situazione sono stati trasformati reparti e pronto soccorso. E dove prima c'era un corridoio, una sala d'attesa o un ambulatorio sono stati messi letti. C'erano letti ovunque. Dappertutto.

Il ruolo del personale nel rapporto con i pazienti è stato straordinario

La forza reciproca è stata l'empatia, la compartecipazione, il sostegno, la condivisione, il mantenere attiva la comunicazione. Il vissuto di dolore è stato messo a confronto tra noi. L'eredità buona di questa esperienza, pur nella sua drammaticità, è stato il lavoro di squadra, il supporto reciproco, l'approccio proattivo dei processi decisionali ed assistenziali, l'importanza della comunicazione con il paziente, la formazione specifica degli operatori sanitari sulle emergenze.

Le cicatrici non ce le toglierà nessuno, ma l'esperienza è stata comunque eccezionale ed il sistema sanitario ha retto.

Le USCA, unità speciali di continuità assistenziale, non hanno sostituito bensì integrato, soprattutto per un tempo definito, i vari professionisti della sanità. I giovani medici che hanno operato in queste unità si sono resi drammaticamente conto della solitudine delle persone. Hanno visto occhi di paura, anche i loro occhi di medici avevano paura per quello che vedevano. Sono stati occhi che spesso si chiudevano. Non per stanchezza come i loro dopo turni pesanti, ma per sempre. Con i vaccini gli occhi si sono fatti di speranza e di gratitudine. Sono tornati belli.

Per i grandi anziani ospiti delle Rsa la condizione oggi non è molto cambiata rispetto ai tempi dell'emergenza. Permangono ancora norme severe e regole rigide per proteggerli dal virus. Lì dentro vincere la solitudine è la sfida più grande. In questi 27 mesi gli anziani hanno fatto domande, quando hanno visto gli operatori sanitari dentro alle tute e con le maschere facciali: Cosa succede? Chi siete? Perché non vengono più a trovarmi? Il personale delle Rsa è stanco e i dispositivi di protezione individuale rendono il lavoro difficile.

La Croce Rossa è stata ampiamente impegnata nei trasporti sanitari per le dimissioni protette e nei soccorsi 118 dei pazienti Covid. Ha eseguito un massiccio screening ai soggetti vulnerabili, come i senza fissa dimora e tutti coloro che chiedevano ospitalità notturna nei centri di accoglienza. Secondo il presidente dell'associazione, queste emergenze non si possono dimenticare. Gli studenti hanno ribadito l'importanza di promuovere la salute a scuola in tempo di Covid ed hanno portato l'esempio del progetto “L'albero delle emozioni” per rispondere al disorientamento dei ragazzi a scuola e in altri ambienti di vita: un albero a forma di mano aperta, con le dita come rami, che chiede aiuto.

Le foglie, da appendere idealmente all'albero, sono state tante manine colorate per esprimere le emozioni provate. Ogni emozione aveva il suo colore psicologico. Il progetto è stato condotto anche nei centri tamponi e negli hub vaccinali. Dopo il tampone ai bambini veniva fatta scegliere una manina da appendere alla parete, spesso era verde ad esprimere disgusto o rossa arancione, simbolo di rabbia. I bambini vaccinati sceglievano quasi tutti manine gialle: la gioia.

Abbiamo affrontato la pandemia? No, stiamo ancora attraversando la pandemia. Per tutti, in qualsiasi posto abbiamo lavorato e vissuto in questi 27 mesi, è un'unica e faticosa esperienza. Siamo consapevoli dei nostri limiti ma anche che possiamo superarli. Certamente ora abbiamo una maggiore fragilità, ma dobbiamo dirci che abbiamo raggiunto degli obiettivi. Siamo stati capaci di costruire finalmente, e in poco tempo, quella integrazione ospedale - territorio di cui si discuteva da decenni. E siamo riusciti a costruire una rete di multidisciplinarietà. E alla fine è stato detto che non dobbiamo dimenticarci mai di quello che abbiamo vissuto per non perdere mai quello che abbiamo imparato.

Infermiere

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